L’Autorità Antitrust torna ad intervenire sul tema dei green claim

A cura di Enrico Di Tomaso, Associate

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) torna a esercitare i suoi poteri di moral suasion in materia di green claim.

Stavolta, ad essere stata interessata è la vendita di acqua minerale. A fine agosto, l’Autorità ha infatti annunciato che un rinomato operatore del settore ha provveduto a modificare i contenuti promozionali della sua linea Ecogreen, riportati sulle etichette delle relative bottiglie, sul suo sito internet e su alcuni spot/video caricati sul medesimo sito o sul proprio canale YouTube.

In particolare, si legge nel comunicato stampa dell’Autorità (disponibile qui), il produttore ha rimosso il claim “CO2 impatto Zero” dall’etichetta, dalle confezioni e da ogni altra comunicazione commerciale, modificando altresì ulteriori asserzioni commerciali ed elementi grafici di accompagnamento, che richiamavano elementi naturali.

In mancanza di ulteriori dettagli da parte dell’AGCM, si può supporre che quest’ultima reputasse il claim “CO2 Impatto Zero” e suddetti elementi di contorno idonei ad ingenerare nei consumatori la convinzione che la produzione di acqua minerale in questione non comportasse alcuna emissione di gas serra o avesse comunque un impatto neutro sull’ambiente, potendo questo, in ipotesi, essere limitato alla sola fase di imbottigliamento, senza considerare l’intero ciclo di vita del prodotto (comprendente anche l’approvvigionamento di materia prima, la distribuzione e lo smaltimento del prodotto finale).

In tal modo, la comunicazione commerciale e la stessa presentazione del prodotto avrebbe potuto rivelarsi ingannevole ai sensi degli artt. 21-23 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005), in quanto contraria alla diligenza professionale e idonea a indurre il consumatore medio ad assumere un comportamento commerciale che non avrebbe altrimenti adottato (nella specie l’acquisto delle bottiglie d’acqua minerale della linea in questione, in quanto spinto dall’errato convincimento della portata assolutamente neutra per l’ambiente di tale linea di prodotto). Non a caso, le informazioni riportate sul sito dell’impresa (nel gergo consumerista “professionista”) riportano, ora, affermazioni più prudenti, incentrate sulla riduzione delle emissioni (quali “riduciamo il più possibile le emissioni di CO2e” e analoghe).

Il caso appena esaminato fa seguito ad altri interventi di moral suasion dell’Autorità in materia di green claim, che, solo per limitarci a quest’anno, hanno altresì riguardato determinati fornitori di energia elettrica e gas sul mercato libero e alcuni distributori di autoveicoli a trazione elettrica.

Lo strumento della moral suasion, ricordiamo, consiste in un intervento dell’Autorità volto a suggerire una modifica della condotta di un’impresa, in presenza di possibili profili di illiceità della medesima condotta, senza procedere ad un compiuto accertamento degli stessi. È possibile che l’Autorità stia ricorrendo a questo strumento “cooperativo”, nonché di guida per il comportamento futuro, conscia della relativa novità del tema e delle possibili incertezze applicative della normativa consumeristica a tale genere di messaggi promozionali.

È bene, tuttavia, ricordare che in altri casi l’Autorità è intervenuta sanzionando l’utilizzo di dichiarazioni ambientali ambigue e/o presentate in modo del tutto generico, come avvenuto in relazione al sito europeo dei prodotti Shein e nei confronti del gruppo GLS: un atteggiamento più rigorista probabilmente dettato dal fatto che i green claim in questione si inserivano all’interno di una serie articolata di condotte illecite (GLS), ovvero in ragione del notevole impatto per l’ambiente dell’attività dell’impresa sanzionata (caso Shein).

Ricordiamo che, a livello europeo, la direttiva (UE) 2024/825, in vigore dal 26 marzo 2024, ma non ancora recepita nel nostro Paese, è intervenuta sul tema dei green claim, ampliando, tra le altre cose, l’elenco delle pratiche considerate in ogni caso ingannevoli ai sensi della direttiva 2005/29/CE (elenco attualmente recepito nell’art. 23 del Codice del Consumo, che sarà presumibilmente aggiornato in sede di trasposizione della direttiva): tra queste pratiche, spiccano l’uso di asserzioni ambientali generiche o riferite all’intero prodotto o attività del professionista, ma in realtà relative solo ad un determinato aspetto del prodotto o elemento dell’attività.

A ciò ha fatto seguito una nuova proposta di direttiva europea, volta a stabilire requisiti minimi in materia di attestazione e comunicazione delle asserzioni ambientali formulate su base volontaria e in materia di etichettatura ambientale, anche mediante una verifica ex ante da parte di soggetti terzi. 

L’esame di tale proposta di direttiva, approvata dalla Commissione nel marzo 2023 e quindi trasmessa al Parlamento europeo e al Consiglio, è però entrata in una fase di stallo a seguito delle preoccupazioni espresse da alcune forze politiche europee sui possibili appesantimenti burocratici per le imprese derivanti dall’implementazione di alcune regole della medesima, quali, in particolare, il sopraccitato obbligo di verifica preventivo delle asserzioni ambientali.

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