Negli ultimi anni la promozione della parità di genere nei luoghi di lavoro ha acquisito una significativa importanza, attesa la consapevolezza che l’equità di genere rappresenti, non solo, un fondamentale principio etico e giuridico alla base della società civile, ma anche un concreto volano per il rilancio del settore economico.
Garantire politiche ed organizzazioni del lavoro orientate alla tutela della parità di genere significa, infatti, creare ambienti lavorativi in cui l’accesso, le opportunità di carriera, la retribuzione e la partecipazione ai processi decisionali sono basati esclusivamente su competenza e merito.
In tale contesto, occorre evidenziare come la promozione della parità di genere negli ambienti lavorativi – oltre ad essere prevista nel nostro ordinamento giuridico dalla lettura combinata degli articoli 3, 37, comma 1 e 51, comma 1 della Costituzione[1] – rappresenta anche uno dei principi strutturali dell’Unione Europea, in quanto condizione necessaria per la realizzazione degli obiettivi di crescita, lavoro e coesione sociale previsti dei Trattati.
L’Unione Europea promuove, infatti, strategie e direttive volte a perseguire l’equità di genere in tutti gli Stati membri[2], impegnandosi, altresì, a garantirne l’effettiva applicazione[3].
In particolare, con la Strategia europea per la parità di genere 2020–2025 (presentata dalla Commissione Europea il 5 marzo 2020), sono stati individuati quali obiettivi prioritari per il raggiungimento della parità di genere nell’Unione Europea:
- l’eliminazione del c.d. “gender pay gap”;
- la promozione dell’equilibrio nei ruoli decisionali;
- il contrasto alle discriminazioni sul lavoro;
- la creazione di ambienti professionali inclusivi e rispettosi.
I predetti obiettivi euro-unitari sono stati recepiti e rafforzati in sede nazionale – anche a seguito dell’emergenza pandemica da Covid-19 – attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che ha individuato la parità di genere come una delle “priorità trasversali” per il rilancio del settore economico.
All’interno della Missione 5 – Inclusione e Coesione, il PNRR ha, infatti, previsto misure specifiche per sostenere l’accesso delle donne al mercato del lavoro, garantendo l’equilibrio tra vita privata e professionale, nonché la riduzione delle le disparità retributive.
In tale contesto, con la Legge 5 novembre 2021 n. 162 “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo” (di seguito anche “Legge n. 162/2021”), il legislatore nazionale ha introdotto nel Decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (di seguito anche “Codice delle pari opportunità”) all’articolo 46 bis[4] la c.d. “Certificazione di parità di genere” (di seguito anche “Certificazione PdG”).
Si tratta di una certificazione pensata per promuovere un cambiamento strutturale delle organizzazioni imprenditoriali, valorizzando le imprese che adottino politiche concrete in favore dell’inclusione di genere.
L’obiettivo correlato all’ottenimento della Certificazione PdG è, infatti, favorire un cambiamento culturale sostenibile delle attività imprenditoriali, fondato su:
- trasparenza dei processi decisionali;
- riduzione dei divari retributivi;
- equilibrio nelle opportunità di carriera;
- inclusione e rispetto delle differenze;
- promozione della genitorialità e della conciliazione vita–lavoro.
A tal fine, il rilascio della Certificazione PdG da parte di organismi accreditati è basato sul rispetto, da parte delle imprese richiedenti, della prassi di riferimento “UNI/PdR 125:2022”, che definisce – in concreto – un sistema di gestione imprenditoriale orientato alla parità di genere, misurabile mediante indicatori specifici (c.d. “KPI”)[5].
Il raggiungimento del punteggio minimo secondo i KPI stabiliti consente di ottenere la Certificazione PdG, con ottenimento di incentivi fiscali e reputazionali.
Il percorso per il conseguimento e il mantenimento della Certificazione PdG si articola, in particolare, in fasi:
- analisi preliminare delle politiche interne da parte dell’organizzazione imprenditoriale;
- individuazione di azioni tese alla promozione della parità di genere (e. redazione di un piano strategico per la parità; implementazione di pratiche che favoriscano trasparenza, equità e conciliazione; corsi di formazione; nonché istituzione di un Comitato guida);
- audit da parte di un ente accreditato;
- monitoraggio annuale dei progressi.
Ciò comporta che le imprese interessate all’ottenimento della Certificazione in esame dovranno pianificare, implementare e documentare non solo i provvedimenti effettivamente varati per garantire il rispetto della parità di genere, ma anche i sistemi che consentano la verifica dell’applicazione delle misure attuate.
In tale contesto, un ruolo di fondamentale importanza è svolto dal Comitato guida (istituito all’interno dell’impresa interessata), il quale pone in essere l’efficace adozione delle misure individuate dall’organizzazione imprenditoriale per la parità di genere (generali e correlate), monitorandone la continua ed efficiente applicazione.
Fermo quanto sin qui rappresentato, per quanto d’interesse, occorre rilevare che la parità di genere è oggi un tema centrale anche per il settore legale, storicamente caratterizzato da un forte divario tra presenza femminile e maschile nelle posizioni di vertice.
Gli studi legali si trovano, infatti, ad affrontare una crescente attenzione verso le politiche di inclusività e parità di genere, come richiesto dalle normative nazionali e internazionali.
Anche gli studi legali possono richiedere la Certificazione PdG, adattando naturalmente la prassi di riferimento “UNI/PdR 125:2022” alle proprie dimensioni e peculiarità organizzative.
In particolare, per ottenere tale Certificazione, uno studio legale dovrà affrontare un processo di autovalutazione (audit interno), che comprenda la raccolta e l’analisi di dati relativi a vari aspetti della gestione delle risorse umane.
Gli indicatori di riferimento avranno ad oggetto, in particolare:
- il divario salariale di genere (e. analisi delle differenze salariali tra uomini e donne per le stesse mansioni);
- la leadership femminile (e. percentuale di donne in posizioni di leadership e gestione);
- l’accesso alla formazione e le opportunità di carriera (e. politiche di accesso equo alla formazione, alla carriera e alla promozione);
- le politiche di conciliazione lavoro-famiglia (e. misure per sostenere la parità di genere, come orari flessibili, smart working e congedi parentali);
- la prevenzione delle molestie e delle discriminazioni (e. presenza di politiche e azioni concrete per prevenire e contrastare le molestie sul luogo di lavoro).
Successivamente, occorrerà sottoporsi ad un audit esterno, che coinvolge un organismo certificatore accreditato, il quale verifica l’efficacia delle politiche adottate e la loro conformità agli standard richiesti, all’esito del quale provvederà al rilascio della Certificazione PdG.
Da quanto esposto, è evidente che per gli studi legali la Certificazione PdG non è solo un atto simbolico (i.e. una dichiarazione di intenti), ma un’opportunità concreta di cambiamento culturale.
Attraverso l’ottenimento della Certificazione PdG, uno studio legale si impegna, infatti, a:
- rafforzare la propria reputazione, atteso che l’ottenimento della Certificazione può migliorare significativamente l’immagine dello studio, dimostrando un impegno serio e concreto verso la parità e l’inclusività, costituendo un valore aggiunto anche nelle relazioni con i clienti;
- migliorare l’ambiente di lavoro, in quanto una politica di parità di genere ben strutturata può contribuire a creare un ambiente più equilibrato e sereno, dove tutte le persone, indipendentemente dal genere, possono esprimere al meglio il loro potenziale;
- attrarre talenti che possono essere scoraggiati da pratiche lavorative non inclusive o da disuguaglianze salariali;
- rispettare principi e normative di matrice euro-unitaria e nazionale, evitando potenziali rischi legali.
Tanto precisato, occorre rilevare che la Certificazione PdG degli studi legali assume, anche un rilevante significato deontologico, atteso che il Codice di Deontologia Forense impone l’espletamento dell’attività forense nel rispetto della dignità e professionalità della persona.
Il Codice Deontologico Forense prevede, infatti, che l’attività professionale dell’avvocato sia improntata alla “indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza”[6]. Corollario di ciò è l’espletamento dell’attività professionale in un ambiente che garantisca, in concreto, l’uguaglianza e la correttezza dei rapporti professionali, inclusi quelli con collaboratori, praticanti e personale di studio.
In questo quadro, l’adozione di un sistema conforme alla prassi UNI/PdR 125:2022 permette, dunque, agli studi legali di dare applicazione concreta a questi principi etici, trasformandoli in prassi organizzative misurabili e verificabili.
La parità di genere rappresenta, pertanto, una grande opportunità per il settore legale.
In uno scenario dove l’inclusività e la diversità sono diventati temi sociali centrali, infatti, gli studi legali che adottano politiche proattive di parità di genere si pongono all’avanguardia in termini di responsabilità sociale, contribuendo a creare un esempio positivo per l’intero contesto di riferimento.
Soprattutto in un settore professionale come quello legale, dove la giustizia e l’uguaglianza sono valori fondamentali, garantire la parità di genere non è solo un dovere giuridico, ma anche un impegno etico, deontologico e sociale, che rafforza la qualità della professione stessa.
[1] Articolo 3 Costituzione – “1. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Articolo 37, comma 1, Costituzione – “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Articolo 51, comma 1, Costituzione – “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
[2] Tra le direttive più rilevanti:
- Direttiva 2006/54/CE sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego;
- Direttiva 2010/41/UE sull’uguaglianza per i lavoratori autonomi, rilevante per le libere professioni;
- Direttiva (UE) 2019/1158 sul work-life balance, che introduce diritti essenziali in materia di congedi e flessibilità;
- Direttiva (UE) 2023/970 sulla trasparenza retributiva, che rafforza gli obblighi di comunicazione e prevenzione delle disparità salariali.
[3]In tale contesto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha contribuito in modo significativo a garantire l’effettiva applicazione del principio di uguaglianza attraverso decisioni divenute emblematiche. Sul punto cfr. Sent. Defrenne II (C-43/75): il principio “a pari lavoro, pari retribuzione” ha efficacia diretta; Sent. Danfoss (C-109/88): in caso di sistemi retributivi opachi, spetta al datore provare l’assenza di discriminazione; Sent. Enderby (C-127/92): differenze salariali ingiustificate tra gruppi comparabili costituiscono discriminazione; Sent. Kalanke (C-450/93) e Marschall (C-409/95): definiscono i limiti e la legittimità delle azioni positive.
[4] Articolo 46 bis, comma 1, Codice delle pari opportunità – “A decorrere dal 1° gennaio 2022 è istituita la certificazione della parità di genere al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”.
[5] In particolare, i KPI prescritti per l’ottenimento del modello UNI/PdR 125:2022 afferiscono a sei aree di valutazione: (i) Cultura e strategia; (ii) Governance; (iii) Processi HR relativi a selezione, gestione carriera, formazione; (iv) Equità retributiva; (v) Tutela della genitorialità e conciliazione dei tempi di vita; (vi) Inclusione e opportunità di crescita.
[6] Art. 9 – Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza “1. L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza. 2. L’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense”.
La Certificazione di parità di genere per gli studi legali: Un impegno etico e giuridico a tutela della equità di genere
A cura di Concetta Alba Ferrante, Associate
Negli ultimi anni la promozione della parità di genere nei luoghi di lavoro ha acquisito una significativa importanza, attesa la consapevolezza che l’equità di genere rappresenti, non solo, un fondamentale principio etico e giuridico alla base della società civile, ma anche un concreto volano per il rilancio del settore economico.
Garantire politiche ed organizzazioni del lavoro orientate alla tutela della parità di genere significa, infatti, creare ambienti lavorativi in cui l’accesso, le opportunità di carriera, la retribuzione e la partecipazione ai processi decisionali sono basati esclusivamente su competenza e merito.
In tale contesto, occorre evidenziare come la promozione della parità di genere negli ambienti lavorativi – oltre ad essere prevista nel nostro ordinamento giuridico dalla lettura combinata degli articoli 3, 37, comma 1 e 51, comma 1 della Costituzione[1] – rappresenta anche uno dei principi strutturali dell’Unione Europea, in quanto condizione necessaria per la realizzazione degli obiettivi di crescita, lavoro e coesione sociale previsti dei Trattati.
L’Unione Europea promuove, infatti, strategie e direttive volte a perseguire l’equità di genere in tutti gli Stati membri[2], impegnandosi, altresì, a garantirne l’effettiva applicazione[3].
In particolare, con la Strategia europea per la parità di genere 2020–2025 (presentata dalla Commissione Europea il 5 marzo 2020), sono stati individuati quali obiettivi prioritari per il raggiungimento della parità di genere nell’Unione Europea:
I predetti obiettivi euro-unitari sono stati recepiti e rafforzati in sede nazionale – anche a seguito dell’emergenza pandemica da Covid-19 – attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che ha individuato la parità di genere come una delle “priorità trasversali” per il rilancio del settore economico.
All’interno della Missione 5 – Inclusione e Coesione, il PNRR ha, infatti, previsto misure specifiche per sostenere l’accesso delle donne al mercato del lavoro, garantendo l’equilibrio tra vita privata e professionale, nonché la riduzione delle le disparità retributive.
In tale contesto, con la Legge 5 novembre 2021 n. 162 “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo” (di seguito anche “Legge n. 162/2021”), il legislatore nazionale ha introdotto nel Decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (di seguito anche “Codice delle pari opportunità”) all’articolo 46 bis[4] la c.d. “Certificazione di parità di genere” (di seguito anche “Certificazione PdG”).
Si tratta di una certificazione pensata per promuovere un cambiamento strutturale delle organizzazioni imprenditoriali, valorizzando le imprese che adottino politiche concrete in favore dell’inclusione di genere.
L’obiettivo correlato all’ottenimento della Certificazione PdG è, infatti, favorire un cambiamento culturale sostenibile delle attività imprenditoriali, fondato su:
A tal fine, il rilascio della Certificazione PdG da parte di organismi accreditati è basato sul rispetto, da parte delle imprese richiedenti, della prassi di riferimento “UNI/PdR 125:2022”, che definisce – in concreto – un sistema di gestione imprenditoriale orientato alla parità di genere, misurabile mediante indicatori specifici (c.d. “KPI”)[5].
Il raggiungimento del punteggio minimo secondo i KPI stabiliti consente di ottenere la Certificazione PdG, con ottenimento di incentivi fiscali e reputazionali.
Il percorso per il conseguimento e il mantenimento della Certificazione PdG si articola, in particolare, in fasi:
Ciò comporta che le imprese interessate all’ottenimento della Certificazione in esame dovranno pianificare, implementare e documentare non solo i provvedimenti effettivamente varati per garantire il rispetto della parità di genere, ma anche i sistemi che consentano la verifica dell’applicazione delle misure attuate.
In tale contesto, un ruolo di fondamentale importanza è svolto dal Comitato guida (istituito all’interno dell’impresa interessata), il quale pone in essere l’efficace adozione delle misure individuate dall’organizzazione imprenditoriale per la parità di genere (generali e correlate), monitorandone la continua ed efficiente applicazione.
Fermo quanto sin qui rappresentato, per quanto d’interesse, occorre rilevare che la parità di genere è oggi un tema centrale anche per il settore legale, storicamente caratterizzato da un forte divario tra presenza femminile e maschile nelle posizioni di vertice.
Gli studi legali si trovano, infatti, ad affrontare una crescente attenzione verso le politiche di inclusività e parità di genere, come richiesto dalle normative nazionali e internazionali.
Anche gli studi legali possono richiedere la Certificazione PdG, adattando naturalmente la prassi di riferimento “UNI/PdR 125:2022” alle proprie dimensioni e peculiarità organizzative.
In particolare, per ottenere tale Certificazione, uno studio legale dovrà affrontare un processo di autovalutazione (audit interno), che comprenda la raccolta e l’analisi di dati relativi a vari aspetti della gestione delle risorse umane.
Gli indicatori di riferimento avranno ad oggetto, in particolare:
Successivamente, occorrerà sottoporsi ad un audit esterno, che coinvolge un organismo certificatore accreditato, il quale verifica l’efficacia delle politiche adottate e la loro conformità agli standard richiesti, all’esito del quale provvederà al rilascio della Certificazione PdG.
Da quanto esposto, è evidente che per gli studi legali la Certificazione PdG non è solo un atto simbolico (i.e. una dichiarazione di intenti), ma un’opportunità concreta di cambiamento culturale.
Attraverso l’ottenimento della Certificazione PdG, uno studio legale si impegna, infatti, a:
Tanto precisato, occorre rilevare che la Certificazione PdG degli studi legali assume, anche un rilevante significato deontologico, atteso che il Codice di Deontologia Forense impone l’espletamento dell’attività forense nel rispetto della dignità e professionalità della persona.
Il Codice Deontologico Forense prevede, infatti, che l’attività professionale dell’avvocato sia improntata alla “indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza”[6]. Corollario di ciò è l’espletamento dell’attività professionale in un ambiente che garantisca, in concreto, l’uguaglianza e la correttezza dei rapporti professionali, inclusi quelli con collaboratori, praticanti e personale di studio.
In questo quadro, l’adozione di un sistema conforme alla prassi UNI/PdR 125:2022 permette, dunque, agli studi legali di dare applicazione concreta a questi principi etici, trasformandoli in prassi organizzative misurabili e verificabili.
La parità di genere rappresenta, pertanto, una grande opportunità per il settore legale.
In uno scenario dove l’inclusività e la diversità sono diventati temi sociali centrali, infatti, gli studi legali che adottano politiche proattive di parità di genere si pongono all’avanguardia in termini di responsabilità sociale, contribuendo a creare un esempio positivo per l’intero contesto di riferimento.
Soprattutto in un settore professionale come quello legale, dove la giustizia e l’uguaglianza sono valori fondamentali, garantire la parità di genere non è solo un dovere giuridico, ma anche un impegno etico, deontologico e sociale, che rafforza la qualità della professione stessa.
[1] Articolo 3 Costituzione – “1. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Articolo 37, comma 1, Costituzione – “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Articolo 51, comma 1, Costituzione – “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
[2] Tra le direttive più rilevanti:
[3]In tale contesto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha contribuito in modo significativo a garantire l’effettiva applicazione del principio di uguaglianza attraverso decisioni divenute emblematiche. Sul punto cfr. Sent. Defrenne II (C-43/75): il principio “a pari lavoro, pari retribuzione” ha efficacia diretta; Sent. Danfoss (C-109/88): in caso di sistemi retributivi opachi, spetta al datore provare l’assenza di discriminazione; Sent. Enderby (C-127/92): differenze salariali ingiustificate tra gruppi comparabili costituiscono discriminazione; Sent. Kalanke (C-450/93) e Marschall (C-409/95): definiscono i limiti e la legittimità delle azioni positive.
[4] Articolo 46 bis, comma 1, Codice delle pari opportunità – “A decorrere dal 1° gennaio 2022 è istituita la certificazione della parità di genere al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”.
[5] In particolare, i KPI prescritti per l’ottenimento del modello UNI/PdR 125:2022 afferiscono a sei aree di valutazione: (i) Cultura e strategia; (ii) Governance; (iii) Processi HR relativi a selezione, gestione carriera, formazione; (iv) Equità retributiva; (v) Tutela della genitorialità e conciliazione dei tempi di vita; (vi) Inclusione e opportunità di crescita.
[6] Art. 9 – Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza “1. L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza. 2. L’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense”.